Quando ci descriviamo, tendiamo a definirci per quel che facciamo e non per quello che siamo. Questo avviene perché siamo immersi in una società nella quale la performance ha un ruolo principale, dove noi siamo alla ricerca di un obiettivo da raggiungere, per cui veniamo costantemente valutati e giudicati.
Tendiamo ad una continua dimostrazione di noi stessi, in cui ogni giorno dobbiamo fare meglio del precedente per poterci sentire gratificati, perché valiamo nel momento in cui veniamo valutati dalla società come efficienti, e non come persone.
La valutazione di noi stessi viene quindi esteriorizzata: non siamo più noi a decidere cosa migliorare e quando ritenerci soddisfatti. Spesso ci sentiamo stanchi, inappagati, ansiosi, oppure diventiamo giudicanti, irritabili, poco tolleranti. Non è colpa nostra, è la miglior strategia che abbiamo trovato.
Per cambiare, per riappropriarci dei nostri desideri e dei nostri bisogni abbiamo bisogno di fermare questa infinita corsa. Qual è realmente questo traguardo da raggiungere? Siamo sicuri che per raggiungerlo non si possa andare anche più lentamente? Perché lì rimane.
Una volta fermi, prendiamoci cura di noi stessi, del nostro corpo, delle nostre relazioni e della nostra mente nella nostra complessità, perché siamo ricchezza.
Elisa Bortolin
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